Capitolo 7: Tra i molti scrittori contemporanei all'avvenimento, scegliamo il solo che non sia oscuro, e che non n'abbia parlato a seconda affatto della credenza comune, Giuseppe Ripamonti, già tante volte citato. 20131019231940. per venir finalmente all’applicazione, era insegnamento comune, e quasi universale de’ dottori, che la bugia dell’accusato nel rispondere al giudice, fosse uno degl’indizi legittimi, come dicevano, alla tortura. 60.000 milanesi: in un clima che vedeva la popolazione allo stremo, aggravato dalla ampia Crediam pure anche noi alla possibilità d’uccider gli uomini col veleno; e cosa si direbbe d’un giudice che adducesse questo per argomento d’aver giustamente condannato un uomo come avvelenatore? — avrebbe potuto dire l’uomo celebre e potente, — volete voi che il capitano di giustizia si faccia beffe di me, a segno di raccontarmi, come una notizia importante, che non è accaduto quello che non poteva accadere? Saggio Capitolo Storia della colonna infame Gramsci spiega la differenza tra la Rivoluzione francese e italiana. Non diremo certamente che tutto questo sia ragionevole; giacchè non può esserlo ciò che implica contradizione. Per favore, accedi o iscriviti per inviare commenti. Era, dico, dottrina comune che il giudice non potesse, di sua autorità propria, concedere impunità a un accusato15. Ah Dio mio! Alessandro Manzoni nacque a Milano nel 1785. Ah! Il motivo di quelle odiose, se non crudeli prescrizioni, di tosare, rivestire, purgare, lo diremo con le parole del Verri. E non è una possibilità immaginata da noi: è quello che fecero essi medesimi, all’occasione d’un altro infelice, involto più tardi in quel crudele processo. Ultima modifica il 19 ott 2013 alle 23:19, https://it.wikisource.org/w/index.php?title=Storia_della_colonna_infame/Capitolo_III&oldid=1325515, licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Indice:I promessi sposi (1840).djvu Nessun nuovo indizio era emerso; e i primi erano che due donne avevan visto il Piazza toccar qualche muro; e, ciò ch’era indizio insieme e corpo del delitto, i magistrati avevan visto alcuni segni di materia ontuosa su que’ muri abbruciacchiati e affumicati, e segnatamente in un andito.... dove il Piazza non era entrato. Non paia strano il veder uomini i quali non dovevan essere, anzi non eran certamente di quelli che vogliono il male per il male, vederli, dico, violare così apertamente e crudelmente ogni diritto; giacchè il credere ingiustamente, è strada a ingiustamente operare, fin dove l’ingiusta persuasione possa condurre; e se la coscienza esita, s’inquieta, avverte, le grida d’un pubblico hanno la funesta forza (in chi dimentica d’avere un altro giudice) di soffogare i rimorsi; anche d’impedirli. Senza entrare in nulla che toccasse circostanze, nè sostanziali nè accidentali, del presunto delitto, moltiplicarono interrogazioni inconcludenti, per farne uscir de’ pretesti di dire alla vittima destinata: non è verisimile; e, dando insieme a inverisimiglianze asserite la forza di bugie legalmente provate, [p. 783 modifica]intimar la tortura. Nella Storia della colonna infame l’autore tematizza la battaglia illuministica contro un errore di giudizio, un pregiudizio, e la responsabilità degli intellettuali. Storia della colonna infame Introduzione (obiettivi e riflessioni di Manzoni) Nel 1630 dei giudici accusarono Giangiacomo Mora e Guglielmo Piazza di essere untori e li torturarono per ottenere una confessione. Considerato tra i massimi scrittori della nostra letteratura, fu autore di opere etico-religiose, storiche, poetiche. La lettera che abbiamo accennata, fu scritta il 28 di giugno, cioè quando il processo aveva, con quell’espediente, fatto un gran passo. E a proposito dell’impunità, senza impugnar l’autorità del senato in tal materia (chè alle volte gli uomini si tengon più offesi a metter in dubbio il loro potere, che la loro rettitudine), oppone che il Piazza “fu introdotto nanti detto signor Auditore solamente, quale non haueua alcuna giurisditione... procedendo perciò nullamente, e contro li termini di ragione”. et se quel tale sarà dei complici, gli promette anco l’impunità della pena. In essa, dopo aver protestato che quella grida era stata pubblicata, con participatione del Sig. Tali condizioni eran dedotte da quel canone della legge romana, il quale proibiva (che cose s’è ridotti a proibire, quando se ne sono ammesse cert’altre!) XIV, 3. La Storia della colonna infame di Alessandro Manzoni appare come appendice a I Promessi Sposi nell'edizione del 1840. Al ritorno di The Crown 4 mancano solo poche ore e questo riassunto della stagione 3 è […] Ma come trovarla? Ma vedremo in vece che tutto fu condotto da quella medesima loro volontà, la quale, per mantener l’inganno fino alla fine, dovette ancora eluder le leggi, come resistere all’evidenza, farsi gioco della probità, come indurirsi alla compassione. È messo alla tortura; gli s’intima che si risolua di dire la verità; risponde, tra gli urli e i gemiti e l’invocazioni e le supplicazioni: l’ho detta, signore. Storia della colonna infame: il contenuto dell'opera A Milano nel 1630 infuria la peste. F. Gonin, Frontespizio dell'opera. Di più, quest’indizi, quanto manifesti, evidenti e urgenti, ognun lo vede, non erano stati messi alla prova, discussi col reo. Ma non ottennero l’iniquo intento. In realtà, questa storia fa solo da sfondo alla storia di Renzo e Lucia, ma Manzoni ha avuto modo di approfondire questo tema in un saggio intitolato Storia della Colonna Infame. In occasione dell’arrivo di The Crown 4, ecco il riassunto della stagione 3, per prepararsi ai nuovi episodi. Ed è per l’esecuzione di questa grida, così espressamente circoscritta a un fatto del 18 di maggio, che il capitano di giustizia dice essersi promessa l’impunità all’uomo accusato d’un fatto del 21 di giugno, e lo dice a quel medesimo che l’aveva, se non altro, sottoscritta! grida l’infelice: V.S. Si dovette finire, e ricondurlo di nuovo, non confesso, in carcere. — E l’argomento sarebbe stato tanto più forte, in quanto, essendosi sparsa insieme la voce del fatto, e la voce che il Piazza ne fosse l’autore, questo avrebbe, insieme con la notizia, dovuto risapere il suo pericolo. E si veda a che miserabile astuzia dovettero ricorrer que’ signori, per dare un po’ più di colore al pretesto. Nel capitolo XXXI dello scritto antecedente, s’è fatto menzione d’una grida, con la quale il tribunale della Sanità prometteva premio e impunità a chi rivelasse gli autori degl’imbrattamenti trovati sulle porte e sui muri delle case, la mattina del 18 di maggio; e s’è anche accennata una lettera del tribunale suddetto al governatore, su quel fatto. Inoltre demolirono la casa di uno dei due (del barbiere Giangiacomo Mora) e al posto di questa fecero erigere una colonna, che ricordasse l’avvenimento. Ma il disgraziato, che, mentendo a suo dispetto, cercava di scostarsi il possibile meno dalla verità, rispose soltanto: a me l’ha dato lui l’unguento, il Barbiero. Capitolo 3: E per venir finalmente all'applicazione, era insegnamento comune, e quasi universale de' dottori, che la bugia dell'accusato nel rispondere al giudice, fosse uno degl'indizi legittimi, come dicevano, alla tortura. Il barbiere Giangiacomo Mora componeva e spacciava un unguento contro la peste; uno de’ mille specifici che avevano e dovevano aver credito, mentre faceva tanta strage un male di cui non si conosce il rimedio, e in un secolo in cui la medicina aveva ancor così poco imparato a non affermare, e insegnato a non credere. Riassunto per l'esame di Letteratura italiana, basato su appunti personali e studio autonomo del testo consigliato dal docente Storia della colonna infame, Alessandro Manzoni (pubblicata in appendice //it.wikisource.org/w/index.php?title=Storia_della_colonna_infame/Capitolo_III&oldid=- Riminaldi, Consilia; LXXXVIII, 53. 18, l. 18. lib. Jacomo, la cui parentela (il cognome) non so. Ora, nè l’una, nè l’altra interpretazione faceva punto al caso. Il solo senato aveva, non dico l’autorità, ma il potere d’andare impunemente tanto avanti per una tale strada. Non sapeva di certo, che dove stesse di casa, anzi di bottega; e, a un’altra interrogazione, lo disse. Alessandro Manzoni. C’è pure ancora la pena di morte; e cosa si risponderebbe a uno che pretendesse con questo di giustificar tutte le sentenze di morte? Così eran riusciti a parlargli dell’imputazione, senza doverla discutere; a parlargliene, non per cavar dalle sue risposte i lumi necessari all’investigazion della verità, non per sentir quello che ne dicesse lui; ma per dargli uno stimolo potente a dir quello che volevan loro. Ma chi può immaginarsi i combattimenti di quell’animo, a cui la memoria così recente de’ tormenti avrà fatto sentire a vicenda il terror di soffrirli di nuovo, e l’orrore di farli soffrire! Se qualcheduno avesse detto allo Spinola, che il Piazza non era stato interrogato punto intorno al delitto, lo Spinola avrebbe risposto: - Sono positivamente informato del contrario: il capitano di giustizia mi scrive, non questa cosa appunto, ch’era inutile; ma un’altra che la sottintende, che la suppone necessariamente; mi scrive che, [p. 792 modifica]messo ad una grave tortura, non lo confessò. Guglielmo Piazza, commissario di sanità del rione di … E il senato di Milano, da cui il pubblico aspettava la sua vendetta, se non la salute, non doveva essere men destro, men perseverante, men fortunato scopritore, di Caterina Rosa. La Storia della Colonna Infame è un saggio storico scritto da Alessandro Manzoni, pubblicato come Appendice storica al suo celeberrimo romanzo storico, I promessi sposi (nella sua edizione definitiva del 1840), in una sorta di continuità necessaria, con le illustrazioni di Francesco Gonin alla seconda edizione del 1842. lità degli uomini di legge: la storia della colonna infame è infatti la storia d’un gran male fatto senza ragione da uomini a uomini , come viene detto proprio nella prima pagina dell’opera.La legge, che dovrebbe costituire garanzia e protezione contro l’arbi- Risi, Nelo Poeta, regista e sceneggiatore cinematografico, nato a Milano il 21 aprile 1920. a che filo attaccarsi? E del resto c’è in tutta questa storia qualcosa di più forte che lo schifo. Ecco perchè l’esaminatore dell’infelice Piazza gli oppose, non essere verisimile che lui non avesse sentito parlare di muri imbrattati in porta Ticinese, e che non sapesse il nome de’ deputati coi quali aveva avuto che fare. 41, l. de tormetis, 8. sapesse quello che si è scoperto nel particolare d’alcuni scelerati che, a’ giorni passati, andauano ungendo i muri et le porte di questa città.” E non sarà forse senza curiosità, nè senza istruzione, il veder come cose tali sian raccontate da quelli che le fecero. IX, tit. “Hebbi”, dice dunque, “commissione dal Senato di formar processo, nel quale, per il detto d’alcune donne, e d’un huomo degno di fede, restò aggrauato un Guglielmo Piazza, huomo plebeio, ma ora Commissario della Sanità, ch’esso, il venerdì alli 21 su l’aurora, hauesse unto i muri di una contrada posta in Porta Ticinese, chiamata la Vetra de’ Cittadini.”. La legge romana sulla ripetizion de’ tormenti8, era interpretata in due maniere; e la men probabile era la più umana. La conseguenza logica sarebbe stata di dichiarare assurda e ingiusta la tortura; ma a questo ostava l’ossequio cieco all’antichità e al diritto romano. Molt’altri, seguendo Bartolo11, intesero che si potesse, quando i primi indizi fossero manifesti, evidentissimi, urgentissimi; e quando, condizione aggiunta poi anche questa, la tortura fosse stata leggiera12. Risponde: lui non mi disse niente; m’imagino bene che detto onto fosse velenato, et potesse nocere alli corpi humani, poichè la mattina seguente mi diede un’aqua da beuere, dicendomi che mi sarei preservato dal veleno di tal onto. Insistono. Alessandro Manzoni nacque a Milano nel 1785. ah che assassinamento è questo! L’infelice inventava così a stento, e come per forza, e solo quando era eccitato, e come punto dalle domande, che non si saprebbe indovinare se quella promessa di danari sia stata immaginata da lui, per dar qualche ragione dell’avere accettata una commission di quella sorte, o se gli fosse stata suggerita da un’interrogazion dell’auditore, in quel tenebroso abboccamento. quanto più il soggetto della bugia era per sè indifferente, e di nessuna importanza, tanto più essa sarebbe stata, nelle loro mani, un argomento potente della reità del Piazza, mostrando che questo aveva bisogno di stare alla larga dal fatto, di farsene ignaro in tutto, in somma di mentire. et egli disse: è non so che onto; et io dissi: sì, sì, verrò puoi a tuorlo; et così da lì a due o tre giorni, me lo diede puoi. De confessis per torturam, II. Ma che bisogno avevano d’usare un tal raggiro con lo Spinola? Era entrato in via della Vetra, era andato rasente al muro, l’aveva toccato; una sciagurata aveva traveduto, ma qualche cosa. Bisogna dire che quella promessa d’impunità fosse poco conosciuta dal pubblico, giacchè il Ripamonti, raccontando i fatti principali del processo, nella sua storia della peste, non ne fa menzione, anzi l’esclude indirettamente. Liber Liber.it. Ma sul punto dell’impunità, c’è in quella lettera un altro inganno che lo Spinola avrebbe potuto, anzi dovuto conoscer da sè, almeno per una parte, se avesse pensato ad altro che a prender Casale, che non prese. Con tutto ciò, gli esaminatori vanno avanti con le domande, sul luogo, sul giorno, sull’ora della proposta e della consegna; e, come contenti di quelle risposte, ne chiedon dell’altre. come scegliere tra nessuno? Ma costretta a rispondere, la coscienza deve dire: fu anche colpevole; i patimenti e i terrori dell’innocente sono una gran cosa, hanno di gran virtù; ma non quella di mutar la legge eterna, di far che la calunnia cessi d’esser colpa. E bastava, secondo loro, che il detto dell’accusato paresse al giudice bugia, perchè questo potesse venire ai tormenti? A una tale interrogazione, la coscienza si confonde, rifugge, vorrebbe dichiararsi incompetente; par quasi un’arroganza spietata, un’ostentazion farisaica, il giudicar chi operava in tali angosce, e tra tali insidie. Storia della colonna infame/Capitolo III. E parlando della menzione che fu fatta più tardi, e occasionalmente, di quell’impunità, dice: “e pure, sino a quel ponto, non appare, nè si legge in processo impunità, quale pure, nanti detta redargutione, doueua constare in processo, secondo li termini di ragione”. Quanto è cieco il furore! Con un mezzo, sull’illegittimità del quale non dovevano ingannarsi, e non s’ingannarono infatti, poichè cercarono di nasconderlo e di travisarlo. Altera le circostanze materiali del fatto, quanto è necessario per accomodarlo alla favola; ma gli lascia il suo colore; e alcune delle parole che riferisce, eran probabilmente quelle ch’eran corse davvero tra loro. se, come aveva dato prova di saper fare, persisteva a negare anche ne’ tormenti? “La bugia per fare indizio alla tortura dev’esser provata concludentemente, o dalla propria confession del reo, o da due testimoni... essendo dottrina comune che due sian necessari a provare un indizio remoto, quale è la bugia1.” Cito, e citerò spesso il Farinacci, come uno de’ più autorevoli allora, e come gran raccoglitore dell’opinioni più ricevute. “Fu dunque”, prosegue, “incontinente preso costui.” E non parla della visita fattagli in casa, dove non si trovò nulla di sospetto. Riassunto esame Letteratura italiana, prof. Marini, libro consigliato Storia della colonna infame, Manzoni. Si dirà forse che, in faccia alla giurisprudenza, se non alla coscienza, tutto era giustificato dalla massima detestabile, ma allora ricevuta, che ne’ delitti più atroci fosse lecito oltrepassare il diritto? Cedette, abbracciò quella speranza, per quanto fosse orribile e incerta; assunse l’impresa, per quanto fosse mostruosa e difficile; deliberò di mettere una vittima in suo luogo. Viene, nelle cose grandi, come nelle piccole, un momento in cui ciò che, essendo accidentale e fattizio, vuol perpetuarsi come naturale e necessario, è costretto a cedere all’esperienza, al ragionamento, alla sazietà, alla moda, a qualcosa di meno, se è possibile, secondo la qualità e l’importanza delle cose medesime; ma questo momento dev’esser preparato. GFDL