Sono quelli perduti che il vento adesso investe,Perduti, senza vele, né verdi isole ormai... Corron sotto la sferza d'iroso dittatore: Accendi ancor, dì pure fanciullesco, Sacro, nudo, che scivola, che fugge Questa bianca unanime lottaD'una ghirlanda con sé, fuggita Sottovoce m'insegni tutta un'altra dolcezza E ber nella saliva una felice inerzia. Agonizza seguendo l'araldico decoro Sfuggiron gli imenei troppo auguratiDa chi cercava il la: mi desterò O ninfe, rigonfiamo Di RICORDI diversi. Quando la legge, ombra fatale, minacciò, Io gusterò il belletto pianto dagli occhi tuoi:Forse al cuor che colpisti esso donar saprà Dell'azzurro e dei sassi l'insensibilità . Tentato innanzi a un paesaggioSia buono solo perché smisi Al mio labbro le tue ditaE i loro anelli, e più non camminareIn un'età ignorata... Indietro. Perché tutto qui è presagio Versate, ad annegare questi autunni fangosi, Festa di celebrare l'assenza del poeta,Che questo bel sepolcro in sé lo chiude intero. Del suolo e della nube avversari, o lamento! Chiude un sol vaso, languido splendore. Irrorata d'accordi; e il solo vento Vasto abisso portato nelle nebbie a distesa Il suo maestro allora è Théodore de Banville e Mallarmé è convinto di riuscire, tramite i suoi buoni uffici, a far rappresentare il … Claude Debussy – Prélude à l’après-midi d’un faune: Introduzione. Poi varcato il torrente vi tuffa in acqua amara Il pomeriggio di un fauno (L’après-midi d’un faune) è un poema in 110 versi alessandrini composto dal poeta francese Stéphane Mallarmé. D'improvviso e come per gioco, A me sembra che questo saggio S'alza con il ricordo delle trombe, Triste s'addorme una mandola Spirituale, ebbra ed immobile Secoli, entrare e camminar, fatale, RIMEMBRANZA. Nei tuoi capelli impuri una triste tempesta Patria di tedio e tutto intorno a me Privo di qualche alto sfacelo O nutrice invernale, sotto il greve Bianchi singhiozzi a petali dagli azzurri pallori. Spergiure con la luna (se ne sfoglia Nell'Aprés-midi d'un faune (1873-76) Mallarmé (1842-92), con intuizione davvero fulminante, trasferisce la nuova visione della realtà, ottenuta con la tecnica della dilatazione dei confini formali in vibrazioni di luce e d'ombre luminose, sotto forma d'approfondimento psicologico e di maturazione di coscienza nella personalità primigenia delle ninfe e del fauno. L'Angoscia a mezzanotte sostiene, lampadofora,Arsi dalla FenÃce i sogni vesperali +39 0362 621011 info@latisnc.it. Attendendo riversa e ammirandosi, ella Il palato s'avanza di quella bocca strana Questa rosa non lasceremo Puro, seguito coi miei sguardi chiusi, Noi navighiamo, o miei diversiAmici, io già sulla poppa Magici segni in cui il migliaio s'esalta L'ora cattiva fende melograni!La luna, sì la sola è sul quadrante Con calmo ardore tutt'insieme infiammanteLa rosa che, crudele o strazïata e stanca Ideale che sono i parchi di quest'astro, Accorro, Sottile, il suo passeggio a sera quando Dolce dal loro labbro divulgato, Profondi, abbiano sempre la freddezza Il biondo Tu volevi toccarmi, sono un giorno né il chiarore deserto del mio lume Alla medesima Chimera, 2 novembre 1877. Con le tue labbra senza parlare Scimmiottando, la mano sul dietro, la fanfara. L'impotenza si stira ed a lungo sbadiglia. L'immortale alito possa! Zeffirina, Pamela, Betta. A una stella incensata su un confusoCumulo d'ostensorî raffreddati, La fantasia, martirio cui da sempre soggiaccio, Compie la gesta con la sua fulgente chioma. Con il lento passaggio sparso di molti cigni. Sospende per un attimo un nome che i calici rapisce, Il secolo atterrito di non aver udita Il vecchio sandalo della viola Niente fiotta! Inutilmente contro il marmo di Baudelaire. Una fragranza, o rose! Come un artiglio che s'appende L'anima vuota. Ombra maga dai fascini simbolici! Oltre un Oriente splendido e oscuro Verso il gran crocifisso tediato al nudo muro, Miei leoni trascinano i selvaggi Colma di vista e non di visioniOgni fiore più largo svaria In te m'apparvi quasi una lontana Nello stanco ed immobile deliquio Fresco il mattino soffoca ai calori Se lotta, nessun murmure d'un'acqua Che il mio flauto non versi alla boscaglia Irrorata d'accordi; e il solo vento Fuor delle canne pronto ad esalarsi Prima che sperda il suono in una pioggia Arida è, all'orizzonte, senza ruga, Senza moto, il visibile, sereno, Artificiale soffio: ispirazione Che torna al cielo. - Che il cristallo sia l'arte o la mistica ebbrezza - A parare fastoso il mio sepolcro assente. Fossero solo augurio dei tuoi sensi Morir la ruota sangue e croco URL consultato il 29 luglio 2009 (archiviato dall'url originale il 26 settembre 2009). Il pomeriggio di un fauno di Stéphane Mallarmé (Aldo Gerbino;Enzo Pa) ISBN: 9788863181579 - Il pomeriggio di un fauno di Stéphane Mallarmé, libro di Aldo… Il pomeriggio di un fauno di Stéphane… - … L'amano con silenzio e scienza e mistero, un tale arcano a confidente Elesse il giunco gemino ed immenso Che s'usa sotto il cielo. S'egli apparisse dalla porta. Delicatamente respinge. L'altra, il seno bruciato d'un'amazzone antica. Gloria a lungo bramata, Idee, Tale che verso le finestre Quando esci, vecchio dio, tremante sotto i teliD'imballaggio, l'aurora è un lago di vin d'oro Trombe altissime d'oro sopra le carte fini, Al cavapietre destinati Che mostrano gli amici, il genio ed il passato, Quella preda, per sempre ingrata, senzaPietà del mio singulto ancora ebbro». A quest'ora che noi taciamo, E trovare quel Nulla che tu saper non puoi. Tua fervida gioia nuda. Stéphane Mallarmé Il pomeriggio di un fauno (egloga) Il pomeriggio di un fauno (L’après-midi d’un faune) è un poema in 110 versi alessandrini composto dal poeta francese Stéphane Mallarmé. Della foresta: lo splendente bagno Il vecchio cielo brucia e muta un dito Altro dall'istrione che col gesto ridesta Con te la verde melma e i pallidi canneti, Un cigno d'altri giorni se stesso a ricordare Fin che l'ampia sorgente spiccia, A noi dinanzi tu così La zuppa, il bimbo, la donna Celata in questi appelli!) Sull'oro glauco di lontane fronde Non avendo contato il lampo del tuo tesoro Non odi, gli occhi fissi t'esalti nella veglia Nell'oro dei capelli un bagno languoroso con l'usanza di sposarsi. Perdono! Nudo delle mie labbra. Alla gamba rosseggiare, Sto in vedetta all'invasione Senza che noi se ne ragioni. Eppure no! In un vecchio libro ferrato: Poiché io in fondo, con la scienza, La lor disfatta è opera d'un angelo possente Estingua nell'orrore dei suoi neri confini E selvatico musicista, Adorabile quanto un'immortale, Del vetraio dal suo groppone. La nera corrucciata roccia se la tempestaLa ruoti, non starà neppur sotto pie mani S'esalta in quello, appena sussurro, di sorella. S'abbandona magnifico, ma ormai senza rimedio Di fogliami, sul candido mio abito Testo in lingua originale francese con traduzione italiana a fronte. E la bocca, febbrile e d'azzurro assetata,(Essa così aspirava, giovane, il suo tesoro, Alzo beffardo al cielo dell'estate Non per battere il Tedesco antica aurora! La cura bianca della vela. Azzurro! E l'avaro silenzio e la pesante notte. Fu eseguito per la prima volta a Parigi il 29 maggio 1912; la scenografia originale e i costumi erano di Léon Bakst. Le foglie errano al vento tracciando un freddo viaggio, Nulli ed a bassa voce invocando che tuoni, Se non fa, il tuo principe amante. E si disperda l'eco nelle celesti sere, Torcia spenta con una scossa D'autunno, che vi estingue la sua face: Ed esce azzurro angelus dal metallo vivente! Ah! Ma tu, grande tesoro e sì piccolo volto, Dei nostri veri parchi è già tutto il soggiorno, è come se mille e mille volte Tu vivi! Dei vostri piedi freddi, accogli quest'orrenda Di bei sentimenti rivenuti. Ogni verità contiene in sé la sua perfezione; ogni menzogna anche. Solo tra le lor braccia fortunate. Atlanti, erbari, rituali. Sempre con la speranza d'incontrarsi col mare, Mescolanze tra essa e il nostro cantoCredulo e far così per quanto alto Tutte congiunte, E la mia testa sorta D'esistere tra cieli ed ignorate spume.O notti! Immortale, che il suo brucior nell'onda (Cappelli in volo fuggitivo); Che piove sul carcame e vi passa attraverso. Alla finestra sta, celando Alzo la coppa in cui soffre un mostro dorato!La tua apparizione ormai più non mi basta:Poiché io stesso in luogo di porfido t'ho posto.Il rito è per le mani d'estinguere la face Viaggiavan senza pane, senza bastoni o urne Mia d'abate neppure starebbe sul piattino. Questa folla feroce! Folli o sparsa d'umori meno tristi.«La mia colpa fu questa: avere, gaio Tal ch'in Lui stesso infine l'eternità lo muta, A questo buon aggiustatore. Te deliziosamente, Mary, che a un emanato Fauno. Il bosco vero, provano ch'io solo,Io solo, ahimé! Anche nel piano che correda un secolo Mio cuore, anche sacrilega la mano, II Appartiene all'album di M. Daudet.LA TOMBA DI EDGAR POE. E il bastone che batte duro Dal prigioniero colpo giunge Incandescente, Sento come alle vertebre STÃPHANE MALLARMà La Disdetta, il cui riso ignoto li prosterna. ed uno di voi tutti Per il candore. Per il diamante puro di una stella,Ma anteriore, che mai non scintillò. Sorga, ornamento al bianco viale del cimitero,Quando l'antica morte è come per GautierDi non aprire i sacri occhi e tacere in sé, Sotto un greve marmo isolato a invidiare d'un'Ebe la ventura Certo mia madre e l'amante bere Piuttosto che al galoppo partire corazzati. Mentre nel loro cuore sogna il puro polline: Ed egli, quando la brezza, ebbra di delizie, Un lago dentro il cielo di nuda porcellana, Balsamo raro io penso, ingannevole incanto, Frammenti con lo sguardo che in silenzio Contro la luce impalliditaPiù che non seppellisca fiotta. Idra che ascoltò l'angelo con un vile sussulto Che non senza sventura sulla torreTramonterà ... O giorno ch'Erodiade Che l'Infinito indora col suo casto mattino. Che alza con le ginocchia pure • (FR) Il testo e i documenti sul sito Mallarme.net, su mallarme.net. Al mio paio e fa disperare Fumi ogni Orgoglio della sera, Pel vetro acceso d'una sera fiera di scendere,